Ci troviamo perfettamente d’accordo con la Proposta di Legambiente Italia circa il recupero ambientale delle cave. Stiamo riproducendo il rapporto cave 2011 da pag 45 a pagi 51 (“Le buone pratiche”).
Su queste basi siamo DISPONIBILI A QUALSIASI CONFRONTO anche col Locale circolo.
Due sono i temi a cui guardare rispetto alle buone pratiche nel settore: il recupero di aree cava abbandonate e l’innovazione prodotta attraverso il riutilizzo di inerti provenienti dall’edilizia.
Il recupero di aree dismesse per usi ricreativi, turistici e naturalistici sta diventando una pratica diffusa in molte realtà, sia attraverso un intervento degli stessi cavatori che da parte di pubbliche amministrazioni in aree dimesse e abbandonate.
Nel caso di una cava in un’area pianeggiante, l’area escavata può essere riempita in parte con lo stesso terreno vegetale in precedenza asportato e ricoperta con humus agricolo o trasformata in lago. Nel caso di una cava impiantata sul pendio di un monte, il restauro ambientale risulta più complesso e delicato dato l’impatto che quasi sempre questi interventi esercitano sull’ambiente e il paesaggio circostante. L’esigenza principale è quella di reinserire l’area coltivata nel paesaggio circostante e nello stesso tempo assicurare la stabilità del pendio su cui si è operato.
Il progetto SARMa
La Regione Emilia-Romagna, unitamente alle Province ed in particolare a quella di Parma, si è resa protagonista dello sviluppo del progetto Europeo SARMa (acronimo di Sustainable Aggregates Resource Management). Il progetto, finanziato dall’Unione Europea, è nato con l’obiettivo di promuovere la gestione sostenibile delle risorse inerti mediante il contrasto alle illegalità, la riduzione degli impatti ambientali ed una futura armonizzazione della normativa tra gli Stati europei. La Provincia di Parma è stata coinvolta in tutte le fasi del progetto, che prevedeva una fase di informazione, la realizzazione di una guida sulle tematiche affrontate, ma soprattutto la messa in pratica di tecniche innovative per il recupero delle aree di cava abbandonate (tra cui le aree golenali del fiume Po) e lo sviluppo di sistemi per il riciclo del materiale inerte.
Tra le decine di aree recuperate in tutta la Regione, disseminate in tutte le province, spicca la zona di Collecchio (PR). In particolare un’area estrattiva, quella di Madregolo situata ai margini del torrente Taro, ha visto nel corso degli ultimi anni una evoluzione, passando dalla tradizionale attività di cava alla localizzazione di uno dei principali siti regionali in cui vengono riciclati i materiali inerti. Quando è terminata l’attività estrattiva, nel corso del 2008, sono rimasti nel sito gli impianti per il trattamento delle rocce cavate che, con l’acquisto di materiale da altre cave, sono successivamente stati riattivati per la produzione di aggregati da utilizzare nelle operazioni di manutenzione di strade ed autostrade. I risultati anche in questo caso sono estremamente positivi, grazie alla produzione annuale di 25.000 tonnellate di aggregati riciclati e circa 32.000 tonnellate di asfalto riciclato.
Un’altra riuscita esperienza, che riguarda il recupero di aree dismesse, è quella della ex cava di gesso nel Comune di Brisighella (RA). La cava di Monticino vede l’inizio dell’attività estrattiva già nel 1920 e verso la metà degli anni ’80 si sono succedute notevoli scoperte scientifiche (in particolare di fossili di 40 specie di mammiferi). Grazie a questi reperti nel 1988 venne evidenziata a livello internazionale l’importanza del sito e successivamente venne proposta la realizzazione di un parco-museo all’interno dell’area estrattiva, che però ha visto il termine dell’attività di cava nel 1990. Il progetto definitivo, concordato tra Regione e Comune, ha visto la luce nel 2006 ed è diventato uno dei più importanti musei geologici all’aperto d’Italia.
Tra le cave di pianura è interessante evidenziare il caso di Bondeno (FE). In questo Comune l’estrazione di materiale sabbioso iniziò nel 1984 con un’area interessata di oltre 100 ettari. Mentre l’attività estrattiva è ancora in corso viene contestualmente recuperata una parte adibita a zona ricreativa (spiaggia, esposizioni d’arte) mentre in altre porzioni del sito sono state ricreati gli habitat naturali con penisole ed isolotti che hanno favorito il ritorno della flora spontanea e della fauna.
Il premio europeo in Piemonte
L’Associazione Europea che riunisce i Produttori di Aggregati, UEPG, annualmente premia le migliori pratiche del settore, a testimoniare quanto può essere fatto di positivo anche in un’attività per definizione impattante per il territorio. In particolare sono le opere di ripristino a vedere grandi opportunità di miglioramento delle aree in precedenza utilizzate per l’estrazione. E’ il caso del progetto delle Cave Germaire tra i Comuni di Carignano e Carmagnola (TO) vincitore del premio 2010. Questo sito, che ricade all’interno del Parco del Po Torinese, ha visto l’inizio delle attività estrattive nel 1985 in un piccolo lago già in precedenza sfruttato per la presenza di ghiaie alluvionali. Nel 2000 una convenzione tra la Società concessionaria, la Regione Piemonte, i Comuni e l’Ente di gestione del Parco del Po porta ad avviare un progetto definitivo, della durata di 20 anni, per un volume complessivo di circa 8 milioni di metri cubi estraibili. La parte significativa riguarda il meccanismo di compensazione integrata all’interno di un programma di coltivazione delle aree estrattive di ghiaia e sabbia che il Parco ha inserito in un più vasto programma di valorizzazione del territorio legato al marchio turistico Po Confluenze Nord Ovest, all’interno del quale si svolge anche una specifica azione di riqualificazione dell’area che è stata denominata “Il Po dei Laghi”. Tra le principali opere di riconversione ambientale vi è quella della salvaguardia della limitrofa Lanca di San Michele, un’area originatasi nel 1977 a seguito di un salto di meandro da parte del Po e che ad oggi mostra un particolare ecosistema dove trovano rifugio molte specie di uccelli, favoriti da una ricca e tipica vegetazione palustre, che annovera canne, ontani, salici e pioppi neri.
Il fotovoltaico nelle ex-cave
Un altro utilizzo molto importante, per i benefici ambientali che porta, di ex aree estrattive è quello dell’inserimento di parchi fotovoltaici. Uno dei più recenti è quello realizzato a Montechiarugolo (PR) e fortemente voluto dall’Amministrazione Comunale per rivalutare l’area dell’ex Cava Ca’ Tripoli. La realizzazione del parco fotovoltaico, iniziata nell’autunno 2010, ha visto un costo di oltre 7 milioni di euro finanziato per 400mila euro dalla Regione Emilia-Romagna, 46mila euro dal Comune e per la parte restante tramite un leasing in costruendo, i cui canoni decorreranno dal completamento della struttura. I pannelli fotovoltaici, con una potenza installata complessiva di 1,8
MW, consentono di superare la quota di 500 Tep di risparmio energetico annuo e di ricavare dal sole il 130% dell’energia elettrica consumata dal Comune.
Ancora diverso è il caso di recupero dell’ex cava Buscada nel Comune di Erto e Casso in Provincia di Pordenone. Inaugurata nel Luglio 2010 la zona, che fino al 1994 vedeva l’estrazione ed il taglio di blocchi di marmo, è stata trasformata in area turistica. La cava è stata recuperata dalla famiglia di con il contributo della Regione ed è stata adibita a rifugio escursionistico con 21 posti letto e percorsi d’interesse archeologico e geopaleontologico.
Le operazioni di bonifica hanno previsto la ripulitura di antri e piazzali, lasciando però intatti gli ultimi blocchi tagliati dai minatori nel 1994, ultimo anno di attività della cava, e mai portati fino a valle. In realtà il recupero è stato poco invasivo e fatto in modo da evitare di spersonalizzare la cava: i locali hanno infatti mantenuto la loro destinazione d’uso ma sono stati messi in sicurezza. La presenza di percorsi museali è stata individuata non da cartelli ma da più discreti indicatori di dimensioni contenute e apposti sui blocchi di marmo rimasti abbandonati.
Il Parco delle Cave a Milano
La zona ovest di Milano era, dagli anni Venti agli anni Sessanta del secolo scorso, occupata da cave di sabbia e ghiaia che furono poi abbandonate a uno stato di degrado. Nel 1986 è nata l’idea della creazione di un progetto di parco peri-urbano e si è costituito il Comitato di Salvaguardia del Parco, che ha intrapreso diverse azioni per assicurare la fruibilità dell’area, per presidiare il territorio e per coinvolgere gli abitanti della zona. In particolare ha organizzato giornate di pulizia, di piantumazione e di festa rivolte ai cittadini, alle scuole, alle altre associazioni ed ai comitati di quartiere. Il risultato è stato la rinascita del Parco delle Cave come luogo di svago restituito alla città ed attualmente tale parco comprende quattro laghi, boschi, corsi d’acqua, orti urbani, un’area agricola e antiche cascine.
Tra le buone pratiche da segnalare l’altro grande tema è quello del riciclo degli inerti.
Un esempio concreto di quanto l’innovazione del settore può portare ad un vero sviluppo sostenibile, accompagnato dalla crescita occupazionale, è quello dell’azienda veneta Eco.Men., del Gruppo Me.Fin.. L’inizio dell’attività risale agli inizi degli anni ’50, e la conoscenza del territorio e dei suoi materiali, del mercato e delle sue esigenze fa evolvere l’attività indirizzandola verso la produzione di calcestruzzo e alla gestione dei trasporti, fino al recupero di materiali inerti e alla loro riqualificazione.
L’azienda ha iniziato il suo percorso proprio dalla formazione per addetti del settore privato e pubblico sul recupero materiali inerti, organizzando convegni con le Università di Padova e Udine sulle potenzialità dei materiali riciclati e svolgendo attività associativa in Veneto per la diffusione delle corrette pratiche per l’utilizzo di questi materiali.
L’unità Eco.Men. di Carmignano di Brenta (PD) è dotata di un impianto per la riqualificazione di rifiuti. L’attività, che prevede il riutilizzo di diversi tipi rifiuti inerti (tra i quali materiali da costruzione e demolizione, scorie di acciaieria, sabbie di fonderia), è autorizzata al trattamento di 730.000 tonnellate all’anno di rifiuti e garantisce il proprio prodotto finito da una serie di procedure di controllo aziendali e ambientali che permettono il monitoraggio costante del materiale in impianto. Questi materiali, che derivano dal recupero di rifiuti inerti, devono infatti necessariamente passare attraverso un processo di recupero debitamente autorizzato.
Per quanto concerne l’ambito di gestione dei rifiuti vengono effettuate verifiche a monte (che comprendono la classificazione del rifiuto come non pericoloso e non tossico, in funzione dell’autorizzazione dell’impianto) e verifiche a valle del processo di recupero condotte per accertare la rispondenza dei parametri delle analisi rispetto all’autorizzazione.
Tra gli esempi più importanti in cui sono stati utilizzati i materiali riciclati ci sono alcune infrastrutture stradali come il Passante di Mestre, la Variante della SS 246 a Montecchio Maggiore, la Tangenziale di Limena (PD) e l’Interporto di Padova.
Uno degli esempi più curiosi è quello relativo alla storia della nascita della Tangenziale di Limena. Tutti i materiali utilizzati per realizzare il sottofondo di questa infrastruttura, completata nel 2004, sono stati ricavati dalla demolizione dell’ex mangimificio “Sole” di Cittadella (PD), edificio che era in disuso dal 1990. I 4.000 metri cubi di macerie ottenuti, pari a 5.500 tonnellate di cotto e calcestruzzo, sono stati lavorati per ottenere uno stabilizzato granulometrico ottimale, il che ha permesso di non avvalersi di materiale altrimenti estratti in natura ed evitare inoltre l’inutile sfruttamento di discariche.
Uno dei prodotti più importanti di questa azienda, soprattutto per le sue applicazioni, è denominato Econcrete, che deriva dal recupero di rifiuti di lavorazioni industriali e di materiali da demolizione e costruzione limitando così l’utilizzo e l’estrazione di materiale naturale dalle cave. Nel caso del Passante di Mestre l’utilizzo di Econcrete ha garantito un risparmio di materiale naturale del 71%, una riduzione delle deformazioni del materiale sottoposto a sollecitazioni veicolari variabile dal 10 al 37%, un aumento della vita utile della strada pari a 88% e un sensibile abbattimento dei costi complessivi dell’opera.
I dati che riguardano il Passante di Mestre parlano chiaro: il calcolo del volume del materiale da cava risparmiato è di circa 320.000 m3, corrispondente alla produzione annuale di una cava di medie dimensioni. Ad affiancarsi a questo già enorme beneficio ambientale ci sono i viaggi di camion per il trasporto del materiale che sono stati quindi evitati, circa 40.000, come se per un intero giorno non circolasse nel Passante di Mestre alcun mezzo e di conseguenza un deciso risparmio di emissioni di CO2 ottenuto dalla minor quantità di energia elettrica per l’estrazione e la lavorazione di materiale inerte, dal minor utilizzo di conglomerato bituminoso e dal minor numero di viaggi di trasporto effettuati, e che corrisponde a circa 11.400 tonnellate di CO2.